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GUERRIGLIA AI CASTELLI AL TEMPO DEI PARTIGIANI

 Pino Levi Cavaglione, “Guerriglia ai Castelli Romani”, Il Melangolo 2006

“La capanna di paglia ove abito con i miei compagni – nelle campagne di Genzano, in località Tor Paluzzo – è stretta e bassa. Si dorme su poca paglia polverosa. Per cucinare, vi è una latta da petrolio vuota. L’acqua bisogna andarla ad attingere un chilometro lontano in un pozzo fangoso ed è un’acqua giallastra e torbida. Per bere c’è vino in abbondanza e squisito, ma purtroppo il vino non serve per lavarsi”. Pino Levi Cavaglione è un giovane avvocato ebreo, giunto ai Castelli dopo anni di confino e di prigionia nei campi di concentramento tedeschi. Grazie al suo coraggio ed alla sua esperienza di ufficiale diventerà in breve il capo della resistenza ai Castelli Romani. Dalle pagine del suo diario (“Guerriglia ai Castelli Romani”, Il Melangolo 2006) emerge il racconto dell’ultima fase della guerra, la più crudele e drammatica, vissuta tra le campagne dei Castelli, tra azioni quotidiane di guerriglia e sabotaggio, rastrellamenti dei nazisti, fughe precipitose tra le vigne e la generosa partecipazione di contadini e paesani. Un racconto serrato, che descrive i sei mesi intensi tra ottobre 1943 e marzo 1944 tra gli orrori e le miserie della guerra e gli atti eroici di chi trovò naturale dedicare la propria vita alla riconquista della libertà.

I contadini dei Castelli Romani – racconta – e specialmente quelli di Genzano sono famosi in tutto il Lazio per il loro coraggio e per la tenacia del loro antifascismo. Non hanno spiccate attitudini diplomatiche e inizialmente diffidano di questo forestiero arrivato con abiti di città. Poi col tempo la diffidenza si trasforma in rispetto, quando organizza azioni di sabotaggio ai fili telefonici, dissemina di mine i binari lungo i quali transitano i convogli tedeschi, sottrae armi e munizioni all’esercito nemico. Insieme a Nennella, una gioviale donna di Albano, si occupa della distribuzione delle armi tedesche ai gruppi di partigiani sparsi sul territorio. Seduta sul carro carico di armi e di munizioni dissimulate da fascine di legna, ricorda Cavaglione, “Nennella ha guidato Ninetto il mulo con la stessa calma e disinvoltura come se si fosse trattato di portare in giro ortaggi. Con me è gentile e rispettosa e con uguale affettuosa gentilezza questi rudi contadini e operati dei Castelli trattano i prigionieri inglesi evasi. Ve ne è una ventina nella zona; e tutti sono ospitati ed assistiti con generosa larghezza. Anche le più povere famiglie di contadini hanno rivestito con abiti borghesi questi loro pericolosi ospiti. Pericolosi, dico, perché in ogni cittadina sono affissi manifesti nei quali si promette un premio a chi li denuncia ad un comando tedesco e si minaccia a pena di morte, in base alla legge di guerra tedesca, per chi dia loro ospitalità. Non mi consta che finora nessuno abbia presentato alcuna denuncia. So invece che in paesi vicini alcuni contadini sono già stati seviziati e fucilati per aver alloggiato in casa loro dei prigionieri evasi. La ferocia tedesca, la comune fede in una prossima liberazione rendono fraterno e cordiale l’animo dei veri italiani”.

Nel diario di Cavaglione i cittadini dei Castelli sono una presenza costante, dalle donne di Genzano che cuciono gli abiti per i partigiani ai fabbri di Albano che forgiano i chiodi quadripunte che vengono gettati sulle strade per disturbare il transito degli automezzi tedeschi.

La sede del comando militare a lui affidato si sposta ogni volta che si corre il pericolo di cadere nelle mani del nemico. Per un breve periodo avrà sede in una vigna ai Piani di Savello, tra la via Nettunense e l’Ardeatina. Il vigneto è un ottimo nascondiglio, poiché accedervi è difficilissimo, per via dei fossati sparsi ovunque e dei filari sostenuti da un triplice ordine di fili di ferro attraverso i quali si passa soltanto per radi passaggi obbligati. Poco distante c’è la tenuta dei Paris, ricchi proprietari fondiari che ci riforniscono di carne, verdura, latte, olio. In casa dei Paris vi è alloggiato un comando del genio radiotelegrafista tedesco: dall’altro lato della Nettunense, a mezzo chilometro, vi è la villa dove risiede il comando militare tedesco della zona.

Fa costruire depositi di armi e munizioni in cinque o sei posti isolati nella campagna, in prossimità delle cittadine di Albano, Genzano, Frascati e Marino. A fine gennaio gli aerei anglo-americani iniziano a mitragliare intensamente la zona, specie la via Appia, ma neanche a farlo apposta, racconta Cavaglione, non colpiscono mai gli automezzi tedeschi. Chi ci va di mezzo sono i carretti dei vignaioli e i tram dei Castelli. Poi lo sbarco ad Anzio degli alleati. Ad Albano i tedeschi si preparano precipitosamente ad andarsene. Cavaglione invia verso la testa di sbarco una pattuglia con le indicazioni degli obiettivi da bombardare. Vengono anche distribuite le armi alla popolazione dei Castelli per attaccare i tedeschi durante la ritirata ma il messaggio che arriva dagli americani è quello di non tentare un’insurrezione di massa per evitare inutili massacri, perché dai Castelli deve transitare la divisione corazzata Hermann Goering, in ritirata dal fronte di Cassino.

Genzano viene duramente colpita dai bombardamenti alleati ed anche alcuni depositi di armi dei partigiani vengono distrutti. Poi i rinforzi tedeschi arrivano ai Castelli sia da Cassino che da Roma: anche nelle campagne muoversi di notte diventa estremamente difficile. Su Genzano piovono i proiettili di grosso calibro dell’artiglieria inglese, la popolazione ha abbandonato la cittadina e si è rifugiata lungo le pendici del lago di Nemi. Sfilano, attraverso le strette vie di Albano, camion carichi di paracadutisti e di S.S., carri armati e giganteschi semoventi. Poi arriva il bombardamento alleato su Albano. Nessuno pensa che fosse possibile, visto che la cittadina era ormai stata abbandonata dai tedeschi. Eppure accade il 27 gennaio: tutti sono furenti contro gli anglo-americani, centinaia di innocenti sono morti. Nei giorni successivi i bombardamenti si susseguono sulle cittadine dei Castelli. I tedeschi però inviano sempre nuove truppe. Poi da Roma arriva l’ordine di trasferirsi a Zagarolo: qui viene catturato dai tedeschi ma riesce a fuggire e a raggiungere Roma, dove parteciperà ad altre azioni dei partigiani fino alla fine della guerra.

Quando scrive questo libro, nel 1970, ripensando ai fatti di quegli anni ricorda l’odio di tanti italiani verso i tedeschi come motivazione a come lui e tanti altri avessero potuto sparare su di loro senza provarne rimorso. “Ma oggi tutto ciò – conclude nella prefazione – è avvolto nelle nebbie del passato. Io stesso, che non avevo mai sparato prima e non ho più sparato dopo il 1944 ad alcun essere vivente, io stesso considero il Pino di allora un uomo diverso, e a me ormai del tutto estraneo. La mia speranza ed il mio impegno sono oggi rivolti a far sì che l’odio dell’uomo verso l’uomo scompaia per sempre”.

 

Daniela Da Milano

 

 

 

 

 


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